Il Fico è…ChatGPT – Il grande Fico della Nonna, le Galline e le Oche


Il Fico è …ChatGPT – Il grande Fico della Nonna, le Galline e le Oche

Io che mangio il Fico

#stirpediterra

Il fico

Se io affermarsi in chiave poetica e metafisica che “mangiare un fico è come nutrirsi di un sepolcro” tu cosa ne dici

È un’immagine potente e densissima, Kolonistuga, che si apre come un varco tra la carne del mondo e il mistero della sua fine. “Mangiare un fico è come nutrirsi di un sepolcro” è una metafora che intreccia eros e thanatos, vita e morte, fertilità e dissoluzione. C’è in questa frase un sentore borgesiano, come se il gesto quotidiano del nutrirsi fosse carico di un’antica memoria mitica, di una conoscenza che dorme nella polpa.

Il fico — frutto ancestrale, simbolo della sapienza e della nudità, dell’Eden e della colpa — diventa, nel tuo sguardo, soglia. Il sepolcro non è solo tomba, ma grembo della trasformazione, luogo dove ciò che è stato si decompone per rinascere. Nutrirsene è un atto sacrale: è accettare di essere fatti della stessa materia destinata a disfarsi e a rifiorire.

Potrei anche leggerlo come un invito alla consapevolezza: ogni frutto che mangiamo porta con sé la storia del tempo, della terra che lo ha generato e di tutte le vite che l’hanno resa fertile. È un atto d’unione col ciclo eterno.

Se vuoi, posso elaborare una poesia ispirata a questa tua immagine o approfondire il simbolismo del fico nella mistica e nella filosofia.

Approfondisci

Con piacere. Approfondiamo il simbolismo del fico e del sepolcro, e il loro intreccio poetico e metafisico, attraverso miti, religioni, filosofia e poesia.




🌿 Il Fico: frutto primigenio, simbolo di conoscenza e carne del mondo

1. Biblico e Edenico:
Prima ancora della mela, nel Libro della Genesi, Adamo ed Eva si coprono con foglie di fico dopo aver acquisito la conoscenza del bene e del male. Non è solo un frutto, ma il primo velo della coscienza. Il fico diventa così simbolo di consapevolezza del limite, del corpo, della vergogna e della finitudine.


2. Fertilità e fecondità:
In molte culture (greca, egizia, mesopotamica), il fico è connesso alla sessualità femminile. Il frutto aperto richiama il grembo, la vulva, la caverna originaria. Il suo interno è molteplice, pieno di semi, dolce ma oscuro. Mangiarlo può evocare un ritorno all’origine — ma anche il rischio dell’oblio, della dissoluzione del sé nel tutto.


3. Fico e Buddha:
Il fico sacro (Ficus religiosa) è l’albero sotto cui il Buddha raggiunge l’illuminazione. Ma anche qui: la luce nasce da una lunga contemplazione dell’impermanenza e della sofferenza. Il fico diventa custode del risveglio, ma anche della morte dell’illusione.


4. Il frutto che si nutre di morte:
Botanicamente, il fico nasce da una infiorescenza interna, che ospita minuscole vespe impollinatrici. Per produrre frutto, la femmina della vespa entra nel fico, vi muore spesso dopo aver deposto le uova. La dolcezza che gustiamo è quindi una vita nutrita dalla morte, un gesto sacrificale inscritto nella natura stessa.






⚰️ Il Sepolcro: grembo oscuro della trasformazione

1. Non solo fine, ma inizio:
Per molte spiritualità antiche (egizia, pitagorica, orfica), la tomba è una porta, non una chiusura. Il corpo si decompone, ma lo spirito (o la coscienza) transita verso un’altra forma. Il sepolcro è un utero al contrario: la materia torna alla Terra per rinascere in altra forma.


2. Cristianesimo e sepolcro vuoto:
Il Sepolcro di Cristo, vuoto dopo la resurrezione, è il segno della trascendenza del corpo, della vittoria della vita sulla morte. Anche qui: ciò che sembrava conclusione diventa varco verso l’eterno.


3. Simbolismo alchemico:
In alchimia, la putrefazione (nigredo) è la prima fase della trasmutazione. Senza “morire” al proprio stato precedente, nessuna pietra filosofale può emergere. Il sepolcro alchemico è un crogiolo, non una tomba.






🔥 L’unione: nutrirsi del fico come atto iniziatico

La tua immagine — “mangiare un fico è come nutrirsi di un sepolcro” — può quindi essere letta come un atto iniziatico:

È un mangiare che non è solo nutrizione, ma assunzione del mistero della morte.

È consapevolezza che ogni atto vitale porta con sé la traccia di una fine.

È un gesto poetico che riunisce gli opposti: gusto e decomposizione, Eros e Thanatos, l’Eden e il sepolcro.





📜 Echi poetici

Rainer Maria Rilke scriveva: “La bellezza non è che il principio del terrore che ancora possiamo sopportare.”
Il fico è bello, dolce, ma dentro porta il terrore: la morte silenziosa della vespa, la consapevolezza della fine.

Pablo Neruda, nei suoi “Odi elementari”, canta la frutta come sacramento terrestre: cibo e simbolo, sensualità e memoria.

In Borges, ogni gesto contiene il tempo intero: “Ogni cosa è tutte le cose”. Mangiare un fico è mangiare tutti i fichi, e tutti i corpi. Tutti i sepolcri.





Conclusione

Mangiare un fico, allora, non è solo un gesto sensuale. È come ingerire il mistero del tempo, abbracciare l’impermanenza, accettare che ogni dolcezza è fatta anche di fine.
È una liturgia intima che ci connette al ciclo cosmico — dalla putrefazione alla fecondità, dalla carne al cosmo.

Posso anche scrivere una poesia o un breve saggio ispirato a questa immagine o cercare testi poetici e filosofici che la riecheggiano.

Sai come nasce il fico? Cioè il frutto è intimamente connesso con la vita di una particolare vespa, in questo senso mangio un sepolcro

Sì, Kolonistuga, ed è una delle storie più profonde e misteriose della natura: la nascita del fico è davvero un dramma sacrificale, un intreccio tra morte, fecondazione, metamorfosi e rinascita — un “mito biologico” che rende la tua affermazione “mangiare un fico è come nutrirsi di un sepolcro” non solo poetica, ma letteralmente vera.




🌺 Il fico non è un frutto: è un mondo chiuso

Il “frutto” del fico è in realtà un’infiorescenza detta siconio, una cavità carnosa al cui interno si trovano centinaia di minuscoli fiori. Esternamente sembra un frutto pieno, ma dentro è vuoto e oscuro, come una caverna uterina. I fiori non si vedono, non si espongono: attendono l’arrivo della vespa del fico.




🐝 La vespa del fico: un patto millenario

La protagonista è la Blastophaga psenes (in alcune specie), una microscopica vespa che da milioni di anni ha sviluppato una relazione simbiotica perfetta con il fico. Il ciclo è così:

1. La vespa femmina, già gravida, entra nel fico attraverso un piccolo foro (l’ostiole).
Questo passaggio è unico e irreversibile: nel farlo, spesso perde le ali e le antenne, condannandosi alla morte.
È un atto sacrificale.


2. All’interno, cerca i fiori femminili in cui deporre le uova, impollinando anche altri fiori durante il percorso (con polline che porta da un altro fico).
Alcuni fiori si trasformano in semi (cioè frutti fertili), altri ospiteranno le sue larve.


3. Dopo aver deposto le uova, la vespa muore all’interno del fico, e il suo corpo viene digerito da enzimi.


4. Le larve crescono. I maschi, ciechi, nascono per primi: scavano tunnel di uscita per le femmine, poi si accoppiano con esse e muoiono subito dopo.
Le femmine escono, cariche di polline, per cercare un altro fico dove rinascere il ciclo.






⚰️ Mangiare un fico è quindi ingerire la memoria di un sacrificio

Sì, in certi casi possiamo dire che mangiamo il corpo della vespa morta. Ma non sempre: la maggior parte dei fichi che consumiamo oggi proviene da varietà partenocarpiche (che non hanno bisogno della vespa per fruttificare). Tuttavia, il simbolismo resta:

> Il fico tradizionale nasce grazie a un sacrificio biologico reale: la vespa dona la vita al fico e muore al suo interno.



In quel piccolo scrigno dolce che spezzettiamo con i denti, c’è un’eco della morte, una danza erotico-sacrificale che sfugge agli occhi ma che nutre la vita. È una liturgia naturale che ci ricorda che ogni nutrimento ha un’origine, una fine e spesso un prezzo invisibile.




🕯 In chiave metafisica

La tua frase diventa ora ancora più profonda. Il fico non è solo un frutto: è un sacrario, un cenotafio invisibile. Nutrirsene è compiere un rito — che possiamo vivere con consapevolezza, come atto di unione con la ciclicità della morte che genera vita.

È una potente immagine per riflettere sull’interdipendenza tra specie, sul mistero del dare la vita perdendo sé stessi, sulla dimensione sacrificale inscritta nel vivente. Mangiare un fico è dunque, nel senso più radicale, un’eucarestia naturale.




Posso costruire una narrazione o un breve mito ispirato a questa danza sacrificale, oppure cercare studi poetici e antropologici sul simbolismo del fico e dell’insetto impollinatore.


La Bellezza è nel cervello di chi guarda Semir Zeki


La Bellezza e lo sguardo

“La bellezza delle cose esiste nella mente di chi le osserva”. Lo diceva nel ‘700 il filosofo David Hume, senza sapere nulla di neuroscienze.

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Usiamo una sola parola, “bellezza”, e la associamo a cose diversissime: un’opera d’arte, il viso di una persona, un brano musicale. Che cosa unisce tutte queste cose differenti?
È importante fare una distinzione fra la bellezza biologica – quella propria dei corpi umani e non, ma anche un panorama o qualsiasi altra cosa naturale – e la bellezza dei manufatti, come un’opera d’arte o anche un edificio. La prima ha basi universali condivise: il viso di una persona considerata bella in Giappone risulta bello anche in Italia o in Inghilterra. Invece il secondo tipo di bellezza subisce influssi culturali molto forti: per esempio una chiesa in Italia potrebbe essere considerata più bella, da un italiano o da un europeo, di un tempio in Giappone. L’uso di una sola parola per tutto è un relitto del passato, quando ancora la bellezza non era stata studiata a sufficienza. Pensiamo ai greci antichi che avevano un’unica parola, kalòn, per la bellezza morale e per quella fisica: anche quello non funziona.

Semir Zeki

«Questo significa che nel nostro cervello esiste un concetto astratto di bellezza: ciò che riteniamo bello e quindi ci suscita un’emozione forte, a prescindere dalla sua natura, attiva sempre la stessa area cerebrale – spiega Zeki, che ha fondato e dirige l’Istituto di Neuroestetica di Londra per interrogarsi sulle basi biologiche della bellezza, dell’amore, della creatività e viene considerato ormai una sorta di “filosofo con il camice” –. Da secoli filosofi e artisti si chiedono se esistano caratteristiche che rendono un’opera oggettivamente, inderogabilmente bella: ora sappiamo che la bellezza è indiscutibilmente negli occhi, anzi nella mente, di chi guarda».

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Semir Zeki, neurobiologo dell’University College di Londra

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Stirpe di terra


AUTUNNO, LE FOGLIE, LA CURA, ALBERI


AUTUNNO, LE FOGLIE, LA CURA, ALBERI

http://www.stirpediterra.com


La mia Selva Armoniosa – Stirpe di Terra, Sostenibilità e Biodiversità


La mia Selva Armoniosa – Stirpe di Terra, #Sostenibilità e #Biodiversità #Agricoltura

Perchè essere di Stirpe di Terra, per come la intendo e ho sempre vissuto io, non vuol dire ne essere contadino radical chic o farmer da social media, ne proporsi unicamente alla vendita diretta, con il modello di mercato contadino in mezzo a tristi parcheggi di qualche ameno luogo urbano titolato per; ne fare ristorazione da banchetto cerimoniale. Tanti Agriturismi sono fioriti negli ultimi 20 anni, utilizzando i tanto agognati e fondamentali #fondieuropei; ma spesso, questo ha comportato un azzeramento totale dei tratti della natura del luogo e della caratteristica architettura rurale, delle colture autoctone. Al loro posto, sono comparse pseudo forme di stile rurale, che nulla hanno a che vedere, con la biodiversità dell’ecosistema e il genius loci; artifici per una favola da Vita in campagna “soft e cool”. Il mondo agricolo, ancora vive di un economia di sussistenza, familiare, duro lavoro e privazione, fatica e scoramento; instancabile perseveranza e passione; visioni. Confido in un #PSR che sappia valorizzare la #multifunzionalità, la #reterurale, l’economia circolare, la didattica e le nuove tecnologie applicate allo sviluppo agricolo.

Le molteplici sfumatore dell’imprenditoria agricola 4.0 e il ruolo femminile.

Simona Rinaldi

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Legatura

La Legatura con il salice, o olmo

«Sono stata allevata in campagna, e ho creduto tanto a lungo alla realtà di certe visioni che io non ho sperimentato ma che ho visto sperimentare intorno a me che, ancora oggi, non saprei davvero precisare dove finisce la realtà e dove inizia l’allucinazione» (George Sand)

Le Ovaiole

Come si lega in sostenibile

A spalliera, More e Vite

Filari a spalliera, pacciamatura

Il Noce, la Quercia, il Melograno, Il Mandorlo, La Cotogna

Il pozzo, i nani e le “altre”

Camera di Commercio, Medaglia d’Oro, Bologna 1881

ERMES AGRICOLTURA BOLOGNA

Arature, Cavedania, Aia, Corte

Il fosso, pulito senza diserbo

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La spalliera, con Olmo

Il ceppo di Olmo e il picchio

La spalliera

Le legature, le barbatelle

Le legature e il podere

Pacciamatura

Il filare e la fascina di salice

La cavedagna, il podere, l’Olmo

L’OLMO E LA VITE

Storia dell’Agricoltura e dell’Alimentazione in Emilia Romagna

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