Libri – Ingrati, La sindrome rancorosa del beneficato – Maria Rita Parsi

Ingrati

Maria Rita Parsi

Quante volte non ci è successo, purtroppo per noi, di incappare in un ingrato? Proprio quello a cui avevamo dato il nostro cuore, tutto il nostro aiuto, quello a cui volevamo più bene. Ecco, proprio lui: un bel dì scopriamo che ci ha tradito, venduto, rinnegato, pugnalato alle spalle. Da psicoterapeuta la Parsi ci spiega la cosa rovesciando la prospettiva: dovevate aspettarvelo, un po’ è anche colpa vostra. Sì, perché colui che aiuta, colui che benefica attiva sentimenti umanissimi e difficili da controllare, come l’invidia. Di fronte al benefattore il beneficato si sente inadeguato, lo vede irraggiungibile, prova l’umiliazione estrema di doversi confrontare con lo scarto che si dà tra la propria pochezza e la grandiosità dell’altro. Il benefattore insomma infligge al beneficato anche la pesante umiliazione della propria superiorità – alla quale si aggiunge magari il sospetto che egli abbia agito unicamente per dar sfoggio di sé stesso, per sentirsi più bello, più grande, più amato. Anche se non è questa la reale intenzione del benefattore, il beneficato spesso non riesce a pensare altrimenti: e così scattano quei meccanismi di revanche che lo trasformano in un ingrato. Fondamentalmente, infatti, chi riceve un aiuto si trova coinvolto in un complesso di inferiorità che non gli permette di farsi carico del peso della gratitudine. Eccola, la parola che mette a posto tutto: la gratitudine.

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La sindrome rancorosa del beneficato

Cos’è la “sindrome rancorosa del Beneficato”? Una forma di ingratitudine? Ben di più. L’eccellenza dell’ ingratitudine. Comune, per altro, ai più. Senza che i molti ingrati “beneficati” abbiano la capacità, la forza, la decisionalità interiore, il coraggio e, perfino, l’onestà intellettuale ed etica di prenderne atto. La “Sindrome Rancorosa del Beneficato” è, allora, quel sordo, ingiustificato rancore (il più delle volte covato inconsapevolmente; altre volte, invece, cosciente) che coglie come un’autentica malattia, come una febbre delirante, chi ha ricevuto un beneficio, poiché tale condizione lo pone in evidente “debito di riconoscenza” nei confronti del suo “Benefattore”. Un beneficio che egli “dovrebbe” spontaneamente riconoscere ma che non riesce, fino in fondo, ad accettare di aver ricevuto. Al punto di arrivare, perfino, a dimenticarlo o a negarlo o a sminuirlo o, addirittura, a trasformarlo in un peso dal quale liberarsi e a trasformare il Benefattore stesso in una persona da allontanare, da dimenticare se non, addirittura, da penalizzare e calunniare. […]
Sono i comportamenti che il Beneficato adotterà, nel tempo, nei confronti del suo Benefattore a “svelare” se gli sia veramente grato o se, invece, stia maturando dentro di sé quella da me denominata: “Sindrome Rancorosa del Beneficato”. Infatti, “accettare di essere stati beneficati” costituisce una tappa di fondamentale importanza per accedere al sentimento della “sincera gratitudine”, della “riconoscenza”, inteso come riconoscimento dell’altro e possibilità, poi, di riconoscere se stessi ovvero “riconoscersi” come persone grate, con le proprie caratteristiche, qualità, limiti. In pratica, è quella una prima fase in cui se il Beneficato prende atto del beneficio ricevuto e delle modalità e caratteristiche del beneficio stesso, egli riuscirà a distinguere e a valutare sia di quali possibilità, capacità, qualità, mezzi, competenze, energie, strumenti egli disponga effettivamente, anche se in quella occasione, o in più occasioni, non ha potuto far fronte al suo problema e/o alle sue difficoltà e/o alle sue esigenze, sia di che natura sia stato effettivamente il contributo delle possibilità, capacità, energie, mezzi, competenze, qualità che il Benefattore ha messo in campo per produrre il beneficio di cui egli ha potuto godere. Deve -anzi, dovrebbe- riconoscere che il Benefattore, nel beneficarlo, è stato effettivamente “capace” e il suo contributo, perlomeno in quel momento, è stato, per lui, positivo, importante, valido se non decisivo. E non finalizzato a porre limiti al valore della sua persona o alle qualità né ad aprire, come avviene in molti casi, una ferita narcisistica e/o innescare una indesiderata “dipendenza”, esasperata dai problemi che in precedenza hanno afflitto o ancora affliggono la vita e la mente del Beneficato.
[…] il Benefattore che, andando in soccorso, ha trovato la maniera consistente e risolutiva, di superare gli ostacoli dimostrando, nel “bene”, nella persona beneficata, una “superiorità” che, talvolta, può scatenare “slatentizzandolo” un nascosto, non riconosciuto (né facilmente riconoscibile) “complesso di inferiorità”.
[…] E proprio quella “gratitudine” dovrà, poi, fare i conti con l’ambivalenza di vissuti interiori che, sempre, si contrappongono nella mente e nel cuore degli esseri umani, quando essi debbono misurarsi col peso di un sentimento tanto nobile, importante, generoso, coraggioso come quello, appunto, della “gratitudine”

Maria Rita Parsi “Ingrati. La sindrome rancorosa del Beneficiato” Arnoldo Mondadori Editore, 2011, pp. 45-48.

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