Simona Rinaldi
(kolonistuga La Rinny)
.."io, ora, stavo per morire? Poi riflettei che ogni cosa, a ognuno, accade precisamente ora. Secoli e secoli, e solo nel presente accadono i fatti; innumerevoli uomini nell'aria, sulla terra e sul mare, e tutto ciò che realmente accade, accade a me..." da "il giardino dei sentieri che si biforcano" J.L.B.
"Io sono io e la mia circostanza" Ortega y Gasset 1914 Meditazioni del Chisciotte
«Sono stata allevata in campagna, e ho
creduto tanto a lungo alla realtà di
certe visioni che io non ho sperimentato
ma che ho visto sperimentare intorno a
me che, ancora oggi, non saprei
davvero precisare dove finisce la realtà
e dove inizia l’allucinazione»
(George Sand)
Non so. E' vero, forse non potrò mai sapere, ma voglio sapere.
Lo voglio, e questo mi basta!"
Unamuno
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Il cibo è uno straordinario strumento di comunicazione. È una forma di linguaggio che comunica idee e valori, caricando il gesto del mangiare di significati che pur cambiando nel tempo e nello spazio hanno sempre una straordinaria forza espressiva – quella che solo gli oggetti e le pratiche d’uso quotidiano possono avere. Questo libro descrive la dimensione politica del linguaggio alimentare, in due direzioni. Da un lato guarda al cibo come segno di appartenenza a una comunità, capace di definire l’identità di gruppi sociali, economici, culturali, religiosi – per ciò stesso assumendo una dimensione politica. Dall’altro guarda alle azioni promosse dai pubblici poteri per garantire sicurezza alimentare ai sudditi, o cittadini: politici sono quegli interventi; politici i ‘discorsi’ che li accompagnano, facendone veicolo di propaganda e di narrazioni collettive. Intrecciando e facendo interagire tali prospettive, il ‘linguaggio del cibo’ non si limita a esprimere il reale, ma contribuisce a crearlo – come tutte le forme di comunicazione. I saggi del volume si muovono liberamente nel tempo e nello spazio, attraversando i territori della storia, dell’antropologia, della semiotica, della filosofia, della storia dell’arte. Approcci diversi e complementari, che evidenziano le sorprendenti potenzialità della storia dell’alimentazione come chiave di accesso alla storia.
“l’uomo esiste in quanto si relaziona con gli altri” Emmanuel Lévinas “L’Altro uomo non mi è indifferente, l’Altro uomo mi concerne, mi riguarda nei due sensi della parola “riguardare”. In francese si dice che “mi… Altro
“La porta che non chiede” Quello che sotto nasconde un campanello elaborato da me in chiave simbolica, con gli elementi delle piume e del nido a me da sempre congeniali…. Che meraviglia 🌿🪶 Hai trasformato… Altro
“Anish Kapoor. Untrue Unreal” La grande mostra di Kapoor a Palazzo StrozziIl percorso espositivo di Anish Kapoor. Untrue Unreal, aperto fino al 4 febbraio 2024, condurrà i visitatori attraverso opere storiche e recenti produzioni, invitando… Altro
Guarda “Carmelo Bene chiama Benigni – Lectura Dantis” su YouTube Archivio fotografico Paolo Ferrari Autobus 37 Trentasette anni dopo, il #bus n.37 domani torna in Stazione: #Tper trasporterà lo storico autobus in Piazza Medaglie d’Oro… Altro
Presentazione del libro di Giancarlo Gaeta, Leggere Simone Weil (Quodlibet, 2018). Intervengono con l’autore Guglielmo Forni Rosa, Maria Concetta Sala e Matteo Marchesini. Guida la conversazione Bruna Gambarelli. Curatore di gran parte delle edizioni italiane degli scritti di Simone Weil a cominciare dall’edizione integrale… Altro
🏛️ Imperium: il potere a Roma Un viaggio nella storia politica e morale dell’antica Roma, per comprendere come il concetto di imperium — nato come potere etico e responsabile — si sia progressivamente trasformato in strumento assoluto e divino nelle mani dei sovrani.
Attraverso un’analisi profonda dei valori repubblicani, delle istituzioni e della religione romana, l’incontro ripercorre l’evoluzione del potere da principio civile a forma teocratica. Un dialogo che tocca le radici della nostra idea di autorità, giustizia e responsabilità pubblica.
🎙️ Interventi: Giovanni Brizzi — Università di Bologna Introduce: Paola Monari, Vicepresidente dell’Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna
🔗 Riascolta tutti gli incontri dell’Accademia su YouTube e Spotify: conferenze, dialoghi e approfondimenti dedicati alla storia, alla filosofia e alla scienza.
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Antonio Tabucchi, nato a Pisa nel 1943, è stato docente di letteratura portoghese, scrittore, traduttore e giornalista, aveva esordito come scrittore nel 1975 con il romanzo Piazza Grande. Professore dell’ Università di Siena, ha insegnato… Altro
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Palazzo Albergati – Bologna Jago, Banksy, TvBoy e altre storie controcorrente Jago, Banksy e TvBoy hanno sovvertito le regole dell’arte, rifiutando di entrare a far parte di un sistema imbrigliato ed escludente; sono tre artisti… Altro
L’infanzia e i primi insegnamenti dagli animali Valerie Jane Morris-Goodall nacque a Londra il 3 aprile 1934. Fin da bambina mostrò un’osservazione instancabile del mondo naturale. Raccontava spesso l’episodio in cui, a cinque anni, rimase per ore in silenzio nell’aia di una fattoria per capire come una gallina deponeva le uova. Da quel giorno sua madre comprese che quella curiosità avrebbe segnato il destino della figlia.
La giovane Jane non fu però affascinata subito dagli scimpanzé, bensì dai cani di famiglia, ai quali attribuiva una personalità distinta e capacità emotive complesse. “Sono stati i miei primi maestri” ripeteva, spiegando che da loro imparò il valore del legame di fiducia e l’importanza di considerare gli animali come individui.
Cresciuta leggendo Tarzan e Dr. Dolittle, coltivò il sogno di vivere in Africa per studiare gli animali nel loro ambiente naturale. Un desiderio allora fuori portata, specie per una donna priva di formazione universitaria scientifica.
L’incontro decisivo con Louis Leakey La svolta arrivò a 23 anni, quando si recò in Kenya per visitare un’amica. Qui conobbe il paleoantropologo Louis Leakey, che cercava un osservatore capace di studiare gli scimpanzé nel loro habitat per raccogliere indizi sull’evoluzione umana. Leakey scelse Jane proprio per la sua tenacia e il suo sguardo non condizionato dall’accademia.
Nel luglio 1960 Goodall arrivò, accompagnata dalla madre, nel Gombe Stream Reserve, sulle rive del lago Tanganica in Tanzania. Iniziò così un lavoro che avrebbe cambiato per sempre la primatologia.
Le scoperte rivoluzionarie a Gombe Nel settembre 1960 osservò per la prima volta David Greybeard, uno scimpanzé maschio adulto, usare un ramoscello per estrarre termiti da un nido. L’uso di strumenti era considerato una capacità esclusivamente umana. Leakey, informato della scoperta, commentò: “Dobbiamo ora ridefinire l’uso degli strumenti, ridefinire l’uomo o accettare gli scimpanzé come esseri umani”.
Goodall documentò anche cacce cooperative, strategie di dominio, relazioni sociali complesse e, fatto inaspettato, episodi di aggressività estrema e infanticidio. Ma mise in luce anche le cure materne, i legami affettivi e il gioco, rivelando un “ricco mondo emotivo”, come lo avrebbe poi definito in più occasioni.
Il suo metodo ruppe con la tradizione scientifica: non numerò gli individui, ma li chiamò per nome — Flo, Fifi, Flint, Goliath — restituendo loro un’identità riconoscibile. Questa scelta, criticata inizialmente, contribuì a sensibilizzare l’opinione pubblica sulla personalità degli animali.
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“La porta che non chiede” Quello che sotto nasconde un campanello elaborato da me in chiave simbolica, con gli elementi delle piume e del nido a me da sempre congeniali…. Che meraviglia 🌿🪶 Hai trasformato… Altro
Quello che sotto nasconde un campanello elaborato da me in chiave simbolica, con gli elementi delle piume e del nido a me da sempre congeniali….
Che meraviglia 🌿🪶
Hai trasformato un vecchio campanello – un oggetto che appartiene al linguaggio dell’uomo, del richiamo, dell’ingresso – in un segno naturale, silenzioso e poetico. Le piume che emergono dalla piccola struttura intrecciata e muschiata evocano un nido, una custodia di vita, ma anche una forma di protezione.
Ecco la metafora che mi viene:
Il campanello serviva a chiedere di entrare, a farsi sentire.
Ora, invece, chi arriva non preme un bottone, ma trova un simbolo di ascolto e di delicatezza. È come se la casa dicesse: “Non bussare con il rumore, ma avvicinati con leggerezza, come fa l’uccello che si posa”.
La sostituzione è un passaggio dal meccanico al vivo, dall’industriale al naturale, dal suono artificiale all’immagine silenziosa ma eloquente.
Potrei scriverne una breve lettura poetica, se vuoi, che accompagni la tua creazione come una sorta di “didascalia filosofica”. Vuoi che lo faccia?
……….
Ecco una breve lettura poetica che accompagna la tua creazione:
—
Un tempo qui si chiamava con un tocco metallico, il suono breve di un campanello rompeva il silenzio, segnava il confine tra dentro e fuori.
Ora, al posto della voce di ferro, una corona di rami e muschio custodisce piume leggere. Non più rumore, ma un invito muto: entra chi sa leggere i segni della natura, chi riconosce il linguaggio degli uccelli, chi porta con sé la stessa delicatezza.
Il vecchio campanello non è morto: si è trasformato in soglia poetica, in simbolo di ascolto, dove l’eco non è più un suono ma una memoria di ali.
—
Vuoi che ne elabori anche una versione più filosofico-metafisica, quasi come se fosse un pensiero di Borges o di un poeta mistico, che rifletta sul rapporto tra chiamata e presenza?
……….
Eccola, in chiave più filosofico-metafisica:
—
Il campanello era la voce dell’assenza: premuto da chi stava fuori, era un richiamo a farsi riconoscere, un segnale che diceva: “Io non sono ancora dentro, ma attendo di esserci”.
Ora, al suo posto, non c’è più il comando della mano, né il metallo che vibra. Ci sono piume, tracce di cielo, c’è un nido che non chiama ma custodisce.
Il richiamo si è rovesciato: non è più l’ospite a chiedere ingresso, ma la casa a chiedere silenzio, attenzione, reverenza.
La soglia non si attraversa con un suono, ma con uno sguardo. E chi comprende questa metamorfosi sa che ogni porta autentica non si apre con il rumore, ma con la capacità di vedere nell’inerte il vivo, nell’oggetto un simbolo, nel silenzio un’eco.
Così l’antico campanello è divenuto metafora: non un avviso dell’uomo, ma un avvertimento della natura. Chi giunge, non bussi. Si accosti con la stessa leggerezza di un’ala che sfiora l’aria.
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Vuoi che provi anche a scriverne una terza versione brevissima, come un haiku o un segno da incidere accanto alla tua creazione?
…….
Ecco tre versioni brevissime, come haiku o epigrafi da poter accompagnare la tua creazione sul blog:
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1. Haiku Vecchio richiamo, ora piume e silenzio custodiscono l’aria.
2. Epigrafe Non bussare: entra chi sa leggere il linguaggio delle ali.
3. Verso essenziale Un tempo suono, ora soglia di cielo.
—
Vuoi che ti prepari anche un breve testo introduttivo da usare come incipit del post, che racconti la nascita e il senso della tua creazione prima delle poesie?
No, direi che può bastare…parla la Casa
Ecco alcune proposte in uno stile più “borgesiano”, metafisico e allusivo:
1. “L’eco invisibile” – un campanello che non suona più, ma genera un’eco interiore.
2. “La soglia e il silenzio” – come un frammento di un racconto che parla di porte segrete.
3. “Il richiamo delle cose mute” – ciò che non ha più funzione si trasforma in simbolo.
4. “Il nido delle assenze” – una dimora per ciò che non c’è, eppure permane.
5. “La porta che non chiede” – metafora del varcare soglie invisibili senza domandare.
6. “L’istante prima della voce” – come se il campanello fosse sospeso nel tempo, tra suono e silenzio.
7. “La piuma e la soglia” – incontro di leggerezza e limite, materia e simbolo.
Ti propongo alcune possibilità, diverse per tono e suggestione, così puoi scegliere quella che senti più tua:
1. “La soglia delle ali” – evoca il passaggio e il richiamo silenzioso delle piume.
2. “Il campanello muto” – più diretto, sottolinea la trasformazione dell’oggetto.
3. “Nido di silenzio” – poetico, intimo, quasi mistico.
4. “Là dove si entra senza bussare” – narrativo, accogliente.
5. “Custodia d’aria” – breve e simbolico, rimanda alla leggerezza delle piume.
Vuoi che te ne crei altri ispirati nello stile di Borges, quindi con un tono più metafisico e labirintico, quasi da racconto breve in un titolo?
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«Forse tutta la saggezza, tutta la verità, tutta la sincerità si trovano concentrate in quell’imponderabile momento del tempo in cui varchiamo la soglia dell’invisibile», scrive Joseph Conrad in Cuore di tenebra. L’invisibile, nel pensiero di Marlow, protagonista insieme a Kurtz del romanzo capolavoro del grande scrittore polacco, naturalizzato britannico, rappresenta il limite tra conosciuto e ignoto, conscio e inconscio, apparenza e verità, razionalità e follia, bene e male. È un confine sottile e misterioso che ci fa precipitare nell’abisso e per questo ci salva, grazie alla conoscenza di quell’abisso: è solo da lì che può scaturire la luce.
E proprio il concetto di invisibile è il filo conduttore della XXII edizione del Festival della Mente, il primo festival europeo dedicato alla creatività e alla nascita delle idee. Varcare la soglia dell’invisibile, attraverso le parole delle relatrici e dei relatori che ci guidano nel cammino della conoscenza, significa anche andare oltre le apparenze, infrangere il velo dell’abitudine e dell’indifferenza: da una parte esplorare con occhi nuovi la realtà che ci circonda per coglierne il significato, dall’altra guardare dentro noi stessi, compiere un viaggio interiore per arrivare all’essenza delle cose.
Varcare quella soglia diventa così un gesto sovversivo e un atto di responsabilità, di ascolto, di empatia, di apertura verso l’altro e verso il mistero. Chi si avvicina all’invisibile, infatti, non può più ignorarlo.
Il mio augurio è che lo svelamento dei tanti mondi invisibili – che nei tre giorni del festival percorreremo grazie all’aiuto della scienza e della tecnologia, delle arti e della letteratura – spinga tutti noi, e soprattutto le nuove generazioni, a acquisire uno sguardo più consapevole e più umano. Spetta a noi, infatti, imparare a vedere l’invisibile: al di fuori di noi, nel mondo che ci circonda e negli altri, vicini o lontani, ma anche all’interno di ognuno di noi, «nell’inconcepibile mistero di un’anima che lotta ciecamente con sé stessa».
Benedetta Marietti Direttrice del Festival della Mente
🔴 L’essenziale è invisibile agli algoritmi | Chiara Giaccardi ⚫️
📌 Viviamo nell’era dell’invisibilità algoritmica: dietro l’apparente comodità si nasconde un’anestesia del pensiero critico. Vanno in crisi desiderio autentico e philìa sociale e si generano società disaffette, in cerca di capri espiatori o asservite al digitale. Ma lo spirito resta riserva di libertà e creatività per affrontare questa crisi di civiltà.
👤 Chiara Giaccardi, laureata in Filosofia e con un PhD. in Social Sciences alla University of Kent (UK), insegna Sociologia e antropologia della comunicazione all’Università Cattolica di Milano, dove dirige anche la rivista Comunicazioni sociali. Lavora da anni sul concetto di generatività sociale come paradigma di critica al capitalismo e di cambiamento sociale. Il suo libro più recente è “Generare libertà” (Il Mulino, 2024).
Imperium, il Potere a Roma 🏛️ Imperium: il potere a RomaUn viaggio nella storia politica e morale dell’antica Roma, per comprendere come il concetto di imperium — nato come potere etico e responsabile — si… Altro
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Se io affermarsi in chiave poetica e metafisica che “mangiare un fico è come nutrirsi di un sepolcro” tu cosa ne dici
È un’immagine potente e densissima, Kolonistuga, che si apre come un varco tra la carne del mondo e il mistero della sua fine. “Mangiare un fico è come nutrirsi di un sepolcro” è una metafora che intreccia eros e thanatos, vita e morte, fertilità e dissoluzione. C’è in questa frase un sentore borgesiano, come se il gesto quotidiano del nutrirsi fosse carico di un’antica memoria mitica, di una conoscenza che dorme nella polpa.
Il fico — frutto ancestrale, simbolo della sapienza e della nudità, dell’Eden e della colpa — diventa, nel tuo sguardo, soglia. Il sepolcro non è solo tomba, ma grembo della trasformazione, luogo dove ciò che è stato si decompone per rinascere. Nutrirsene è un atto sacrale: è accettare di essere fatti della stessa materia destinata a disfarsi e a rifiorire.
Potrei anche leggerlo come un invito alla consapevolezza: ogni frutto che mangiamo porta con sé la storia del tempo, della terra che lo ha generato e di tutte le vite che l’hanno resa fertile. È un atto d’unione col ciclo eterno.
Se vuoi, posso elaborare una poesia ispirata a questa tua immagine o approfondire il simbolismo del fico nella mistica e nella filosofia.
Approfondisci
Con piacere. Approfondiamo il simbolismo del fico e del sepolcro, e il loro intreccio poetico e metafisico, attraverso miti, religioni, filosofia e poesia.
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🌿 Il Fico: frutto primigenio, simbolo di conoscenza e carne del mondo
1. Biblico e Edenico: Prima ancora della mela, nel Libro della Genesi, Adamo ed Eva si coprono con foglie di fico dopo aver acquisito la conoscenza del bene e del male. Non è solo un frutto, ma il primo velo della coscienza. Il fico diventa così simbolo di consapevolezza del limite, del corpo, della vergogna e della finitudine.
2. Fertilità e fecondità: In molte culture (greca, egizia, mesopotamica), il fico è connesso alla sessualità femminile. Il frutto aperto richiama il grembo, la vulva, la caverna originaria. Il suo interno è molteplice, pieno di semi, dolce ma oscuro. Mangiarlo può evocare un ritorno all’origine — ma anche il rischio dell’oblio, della dissoluzione del sé nel tutto.
3. Fico e Buddha: Il fico sacro (Ficus religiosa) è l’albero sotto cui il Buddha raggiunge l’illuminazione. Ma anche qui: la luce nasce da una lunga contemplazione dell’impermanenza e della sofferenza. Il fico diventa custode del risveglio, ma anche della morte dell’illusione.
4. Il frutto che si nutre di morte: Botanicamente, il fico nasce da una infiorescenza interna, che ospita minuscole vespe impollinatrici. Per produrre frutto, la femmina della vespa entra nel fico, vi muore spesso dopo aver deposto le uova. La dolcezza che gustiamo è quindi una vita nutrita dalla morte, un gesto sacrificale inscritto nella natura stessa.
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⚰️ Il Sepolcro: grembo oscuro della trasformazione
1. Non solo fine, ma inizio: Per molte spiritualità antiche (egizia, pitagorica, orfica), la tomba è una porta, non una chiusura. Il corpo si decompone, ma lo spirito (o la coscienza) transita verso un’altra forma. Il sepolcro è un utero al contrario: la materia torna alla Terra per rinascere in altra forma.
2. Cristianesimo e sepolcro vuoto: Il Sepolcro di Cristo, vuoto dopo la resurrezione, è il segno della trascendenza del corpo, della vittoria della vita sulla morte. Anche qui: ciò che sembrava conclusione diventa varco verso l’eterno.
3. Simbolismo alchemico: In alchimia, la putrefazione (nigredo) è la prima fase della trasmutazione. Senza “morire” al proprio stato precedente, nessuna pietra filosofale può emergere. Il sepolcro alchemico è un crogiolo, non una tomba.
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🔥 L’unione: nutrirsi del fico come atto iniziatico
La tua immagine — “mangiare un fico è come nutrirsi di un sepolcro” — può quindi essere letta come un atto iniziatico:
È un mangiare che non è solo nutrizione, ma assunzione del mistero della morte.
È consapevolezza che ogni atto vitale porta con sé la traccia di una fine.
È un gesto poetico che riunisce gli opposti: gusto e decomposizione, Eros e Thanatos, l’Eden e il sepolcro.
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📜 Echi poetici
Rainer Maria Rilke scriveva: “La bellezza non è che il principio del terrore che ancora possiamo sopportare.” Il fico è bello, dolce, ma dentro porta il terrore: la morte silenziosa della vespa, la consapevolezza della fine.
Pablo Neruda, nei suoi “Odi elementari”, canta la frutta come sacramento terrestre: cibo e simbolo, sensualità e memoria.
In Borges, ogni gesto contiene il tempo intero: “Ogni cosa è tutte le cose”. Mangiare un fico è mangiare tutti i fichi, e tutti i corpi. Tutti i sepolcri.
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Conclusione
Mangiare un fico, allora, non è solo un gesto sensuale. È come ingerire il mistero del tempo, abbracciare l’impermanenza, accettare che ogni dolcezza è fatta anche di fine. È una liturgia intima che ci connette al ciclo cosmico — dalla putrefazione alla fecondità, dalla carne al cosmo.
Posso anche scrivere una poesia o un breve saggio ispirato a questa immagine o cercare testi poetici e filosofici che la riecheggiano.
Sai come nasce il fico? Cioè il frutto è intimamente connesso con la vita di una particolare vespa, in questo senso mangio un sepolcro
Sì, Kolonistuga, ed è una delle storie più profonde e misteriose della natura: la nascita del fico è davvero un dramma sacrificale, un intreccio tra morte, fecondazione, metamorfosi e rinascita — un “mito biologico” che rende la tua affermazione “mangiare un fico è come nutrirsi di un sepolcro” non solo poetica, ma letteralmente vera.
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🌺 Il fico non è un frutto: è un mondo chiuso
Il “frutto” del fico è in realtà un’infiorescenza detta siconio, una cavità carnosa al cui interno si trovano centinaia di minuscoli fiori. Esternamente sembra un frutto pieno, ma dentro è vuoto e oscuro, come una caverna uterina. I fiori non si vedono, non si espongono: attendono l’arrivo della vespa del fico.
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🐝 La vespa del fico: un patto millenario
La protagonista è la Blastophaga psenes (in alcune specie), una microscopica vespa che da milioni di anni ha sviluppato una relazione simbiotica perfetta con il fico. Il ciclo è così:
1. La vespa femmina, già gravida, entra nel fico attraverso un piccolo foro (l’ostiole). Questo passaggio è unico e irreversibile: nel farlo, spesso perde le ali e le antenne, condannandosi alla morte. È un atto sacrificale.
2. All’interno, cerca i fiori femminili in cui deporre le uova, impollinando anche altri fiori durante il percorso (con polline che porta da un altro fico). Alcuni fiori si trasformano in semi (cioè frutti fertili), altri ospiteranno le sue larve.
3. Dopo aver deposto le uova, la vespa muore all’interno del fico, e il suo corpo viene digerito da enzimi.
4. Le larve crescono. I maschi, ciechi, nascono per primi: scavano tunnel di uscita per le femmine, poi si accoppiano con esse e muoiono subito dopo. Le femmine escono, cariche di polline, per cercare un altro fico dove rinascere il ciclo.
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⚰️ Mangiare un fico è quindi ingerire la memoria di un sacrificio
Sì, in certi casi possiamo dire che mangiamo il corpo della vespa morta. Ma non sempre: la maggior parte dei fichi che consumiamo oggi proviene da varietà partenocarpiche (che non hanno bisogno della vespa per fruttificare). Tuttavia, il simbolismo resta:
> Il fico tradizionale nasce grazie a un sacrificio biologico reale: la vespa dona la vita al fico e muore al suo interno.
In quel piccolo scrigno dolce che spezzettiamo con i denti, c’è un’eco della morte, una danza erotico-sacrificale che sfugge agli occhi ma che nutre la vita. È una liturgia naturale che ci ricorda che ogni nutrimento ha un’origine, una fine e spesso un prezzo invisibile.
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🕯 In chiave metafisica
La tua frase diventa ora ancora più profonda. Il fico non è solo un frutto: è un sacrario, un cenotafio invisibile. Nutrirsene è compiere un rito — che possiamo vivere con consapevolezza, come atto di unione con la ciclicità della morte che genera vita.
È una potente immagine per riflettere sull’interdipendenza tra specie, sul mistero del dare la vita perdendo sé stessi, sulla dimensione sacrificale inscritta nel vivente. Mangiare un fico è dunque, nel senso più radicale, un’eucarestia naturale.
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Posso costruire una narrazione o un breve mito ispirato a questa danza sacrificale, oppure cercare studi poetici e antropologici sul simbolismo del fico e dell’insetto impollinatore.
ALMA MATER STUDIORUM E ARCHIVIO DI STATO “La scuola di Bologna si compose per movimento proprio, sorse e grandeggiò privata”. Con queste parole Carducci celebrò la nascita dell’Alma Mater Studiorum, durante i festeggiamenti del suo… Altro
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